Si è conclusa cinque giorni fa la COP26, la “Conferenza delle Parti” che dal 31 ottobre al 30 novembre ha riunito nello Scottish Event Campus (SEC) di Glasgow un totale superiore a 39 mila partecipanti: eppure, tra consensi e critiche, il dibattito scatenatosi intorno a quello che passerà alla storia come il Glasgow Climate Pact non accenna a placarsi.

Se la fazione politica nazionale e internazionale appare soddisfatta – rappresentativa la dichiarazione del Primo Ministro britannico Boris Johnson, che ha definito il patto «un accordo rivoluzionario che suona la campana a morto per l’energia a carbone» – associazioni, attivisti verdi e ONG non nascondono la propria delusione per quello che il WWF ha descritto come “una chiusura deludente” accompagnata da un testo “lontano dalla perfezione”, seppure orientato verso la giusta direzione.

Nel mirino del World Wildlife Found, tre gap da colmare: la mancanza di obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve periodo, la carenza di regole per fornire e monitorare i progressi fatti e l’insufficiente finanziamento all’azione climatica necessaria per indirizzare il mondo verso un futuro più sicuro. Ma il gruppo amico degli animali non è l’unica istituzione a puntare il dito contro la UN Climate Change Conference 2021: l’ONG Global Witness ha definito l’evento “una totale ipocrisia”. Senza mezzi termini.

COP26 sì o COP26 no? Tra dichiarazioni e linee guida per l’attuazione degli obiettivi climatici, proviamo a tracciare una overview degli insuccessi del Patto di Glasgow

Jet privati e petrolieri in volo per partecipare a COP26. Il tema principale del vertice climatico? Contrastare il surriscaldamento globale e avviare un massivo processo di decarbonizzazione

Uno degli output più ambiziosi della COP26 è stato quello di porre come obiettivo principale un aumento massimo della temperatura globale inferiore a 1,5 gradi – e non più 2 come previsto dall’Accordo di Parigi. Impossibile quindi non notare il via-vai di jet privati sui cieli scozzesi, prontamente tracciato da FlightRadar24. Nella sola giornata di apertura del summit sono stati 118 i jet privati atterrati negli aeroporti di Glasgow ed Edimburgo dove, Il giorno dopo, hanno fatto capolino altri 50 veivoli. Entro il 2 novembre il numero dei jet presenti ammontava già a 400. Presenti Jeff Bezos, punta di diamante di quell’1% della popolazione mondiale che da sola inquina il doppio rispetto alla metà più povera del pianeta, e Boris Johnson, criticato dal The Guardian e non solo per essere rientrato a Londra nella giornata di mercoledì per partecipare a una cena privata. Rigorosamente in aereo e non certo in treno, tragitto che avrebbe richiesto tra le 4 e le 5 ore di viaggio.

Contestata anche la presenza di almeno 503 lobbisti del petrolio che, secondo i calcoli di Global Witness, erano più numerosi dei delegati di Porto Rico, Myanmar, Haiti, Filippine, Monzambico, Bahamas, Bangladesh e Pakistan messi insieme. La maggior parte di loro proveniva da Russia, Cina e Brasile, tra i Paesi con le delegazioni più folte al tavolo della COP26. Il commento via Twitter di Greta Thumberg non si è fatto attendere: «non so voi, ma io non mi sento a mio agio sapendo che alcuni tra i più grandi cattivi del mondo influenzano e dettano il destino del pianeta».

Riduzione dell’utilizzo del carbone e delle energie fossili: quel “Phase downۚ” al posto di “Phase out”

Le Nazioni coinvolte hanno concordato sulla necessità di accelerare gli sforzi per “phase out”, eliminare gradualmente, il carbone “unbated”, ovvero sprovvisto di sistemi di cattura e stoccaggio di CO2. Ma all’ultimo momento Cina e India, tra le economie più carbone-dipendenti, hanno dato inizio a quello che Reuters ha ribattezzato illast minute drama: sì agli sforzi per combattere gradualmente il carbone “unbated”, ma non per abbatterlo. O almeno, non ancora. Il Ministro indiano dell’Ambiente e del Clima, Bhupender Yadav, ha affermato che la revisione riflette le «circostanze nazionali delle economie emergenti». Tradotto: abbiamo pagato abbastanza lo stile di vita e gli sprechi dei Paesi ricchi, ora vogliamo la nostra parte, ora tocca a noi sfruttare i combustibili fossili e salvare il nostro popolo dalla povertà dilagante. Risultato: sconcerto degli altri delegati per i cambiamenti apportati all’ultimo minuto e il Presidente della COP26 Alok Sharma «profondamente dispiaciuto» per le modifiche.

Mancanza di un fondo “loss and damage” per compensare le comunità in maggiore difficoltà per i danni provocati dal surriscaldamento globale

Le nazioni più povere vulnerabili, ovvero quelle che hanno contribuito poco o nulla alla crisi climatica, sono giunte a Glasgow con la speranza di incassare i sussidi “loss and damage” promessi nell’anno 2009 e che sarebbero dovuti arrivare entro lo scorso anno. Del resto, i vizi del Primo Mondo li hanno pagati anche e soprattutto loro. Ma sono rimasti delusi dal momento che i 100 miliardi di dollari annuali sono rimasti un miraggio. Si parla unicamente di un dialogo fra le parti, organizzazioni rilevanti e soggetti interessati per discutere le azioni da intraprendere per il finanziamento delle attività per evitare, minimizzare e ristorare le perdite e i danni legati agli impatti avversi del cambiamento climatico. Non sono però indicati né una data per prendere una decisione, né un processo continuativo, né se ci saranno effettivamente dei volumi mobilitati. Insomma, il problema dell’accesso al credito per Paesi poveri è rimandato alla COP27.

La COP è diventata un evento di pubbliche relazioni, i leader non stanno facendo nulla, stanno creando delle scappatoie e costruendo delle regolamentazioni a loro beneficio e per continuare a trarre profitto da questo sistema distruttivo
(Greta Thumberg)